martedì 3 giugno 2008

YSL by Aspesi


Natalia Aspesi
Quelle parole dai "Guermantes" di Proust le teneva incorniciate sulla sua scrivania, come lo specchio che rifletteva la sua incapacità di vivere: «Noi gustiamo musiche delicate, bei quadri e mille squisitezze: ma non sappiamo quanto esse sono costate, ai creatori, di insonnie, di pianti, di risa spasmodiche, orticarie, asme, epilessie: e quel terrore della morte che è la cosa peggiore di tutte».

Incontrare Yves Saint Laurent era praticamente impossibile, difeso con estrema crudeltà dal suo compagno e socio Pierre Bergé e da una selva di feroci e belle assistenti che lo controllavano come fosse un ammalato grave. Eppure ricordandogli quella frase proustiana, sembrò uscire dalla sua angoscia e dal suo torpore, e quasi liberarsi dal corpo che il tempo, i farmaci, le disintossicazioni, la depressione avevano appesantito.

Era il marzo 2001, a Palermo, dove lui, schivo e sempre appartato, aveva accettato di andare, felice per quel premio internazionale 900 che non veniva assegnato alla sua fama di massimo creatore di eleganze forse ormai obsolete, ma al suo lavoro per il teatro e il cinema, e quindi per aver contribuito, con la sua opera, «ad accrescere il patrimonio di conoscenza, sapienza e bellezza dell´umanità». «Questo riconoscimento è un onore per me, anche perché mi sento estraneo al mondo della moda di oggi che mi spaventa e mi fa orrore».

Un paio di anni prima aveva venduto la sua maison di pret-a-porter all´uomo di affari Pinault, e malgrado la valanga di soldi che ricadevano su di lui e sul socio-compagno, del resto già ricchissimi, patì enormemente per l´ingratitudine di quel mondo effimero che in un battibaleno applaudì freneticamente il suo sostituto, quel Tom Ford, star meteora del momento che rappresentava tutto ciò che feriva il suo senso dell´eleganza e della femminilità.

«La bellezza mi trascina verso la purezza: penso che un creatore debba rispettare il corpo che veste perché tutte le donne, anche le meno belle, in qualche modo lo diventino: la bellezza è l´eleganza, il gesto, la voce, il modo di camminare. C´è sempre in me questo amore per le donne e questa impossibilità di amarle».

Era riuscito a rendere indimenticabile anche Margherite Yourcenar, prima donna ad essere ammessa all´Academie Française nel 1981. Per quella solenne occasione aveva preparato per quell´anziana, grossa e disordinata signora un lungo abito di velluto di grande sobrietà, con un grande scialle di seta bianca a coprirle i capelli. Nel gennaio del 2002, a 66 anni il couturier, affranto e dolente, abbandonava anche la haute couture, quella che aveva vestito regine e che doveva ormai accontentarsi di clienti dai miliardi dubbi e troppo recenti per non procurargli nausee e malori. Ma nessuno lo avrebbe sostituito perché salvando il suo onore e il suo passato, la Maison finiva con la sua uscita, simbolo di un tempo e di un mondo intellettuale, spericolato, colto e raffinato, ormai del tutto scomparso.

Nel suo best seller "Mai il mondo saprà", Quirino Conti ha dedicato a Saint Laurent un lungo capitolo intitolato "gli ennérvés": «Lui si identificava in Proust e nella sua assoluta diversità, nella sua sessualità dolorosa, nell´ipersensibilità, come lui ha cambiato la sua vita con la sua opera». Nel marzo del 2006 a Parigi c´erano tutti, quelli della moda rampante e per niente haute, per l´immensa retrospettiva che il business volle imporre al pover´uomo settantenne: sfilarono i capolavori della sua genialità, per anni copiati e inquinati da tutti i nuovi grandi della moda.

Fu una monumentale, angosciosa cerimonia degli addii, una specie di prova di funerale di stato alla presenza del compianto stesso, al rimbombo di "Vincerò" della Turandot, e i colleghi già incattiviti che mormoravano, "tra una settimana nessuno si ricorderà di lui".
(la Repubblica)

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